1° verbale-nel solco (tra-me con Daìta Martinez)

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Sciuscia na lacrima e calanu l’occhi dintra u pettu sfardatu

poiché la luce attraverso l’ora

pallida svapora

pausa l’agguato dei colori del bosco

accoglie sull’uscio guscio e fiore   di seta la parola

sugli occhi mentre vado a cercarla

in una riga nero azzurra, una diga

– non separa le virgole- 

in un silenzio solo stilo

un verbale dal midollo

dall’attimo del cuore

tu sola mi chiami

delicata parola e ti basta pensarmi

racchiusa nell’uovo assorbente in una forma di luna

cuci la stoffa sulle mie spalle

bianche bambine ancora

e ascolto i passi il suono

 

arrivano come il pane quando è caldo

 

perché è  una nascita ancora   lo stupore del giardino

la posa seducente delle dita quando dalla sacca amniotica della bocca

sul silenzio rosso della lingua seminano un pesce che guizza

una corolla semplice un’ ascesa

al movimento di quel parto.

 

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A-49 Sevilla – Huelva di Anna Salvini

Nell’ora del tramonto il sole

è tutto a destra, sotto

campi di helianthus, ulivi

qualche Pata Negra da bellota

sul lato opposto

colonie di cicogne invadono i tralicci

e nel mezzo, muri d’oleandri

catturano le ustioni

sconosciuta a questa lingua, ai ponti

così ben strutturati, lascio libere

le mie radici, in estensione lungo

questa costa di luce

fidarsi è la mia nuova impresa,

dissodare l’incompiuto: fuori tutta

la fatica, così forte da spaccare

ogni lembo

sopra, sotto, ai lati.

Lo strazio che piega l’orizzonte

s’allunga dentro la mia estate.

Le lettere in danza come foglie acquatiche

Giunge a me il tuo bene attraverso una fotografia scattata da tuo padre col cellulare

hai una foglia in testa e un ramo verde e tenace ti offre il respiro del mare

come è stare qui e avere tempo per chiedere di te, se stai bene, se piangi, se sorridi

una continua fioritura,un cambio di vento, la libertà di tacere ed emozionarsi dentro

Aspetto ancora un po’ per incontrarti e intanto ti avvolgo in un cerchio di luce

Sei vita atterrata dopo un viaggio duraturo

respiro dell’Universo

Fragilità (morbido e sfumato)

“Fragilità” di Romina Dughero

Dal piano dal primo piano e via via salendo sprofondando in nuvole acquatiche

affondando gli occhi nel ramo colore contenuto in un soffio

di fiore caduto alla mano che culla il respiro

che vivo non pensa, non piange e giunge al confine… già nuovo

-occhio scintilla accendi la luna e il giorno-

diceva la bocca ancora cucita di pioggia

lavata la faccia asciugata al sole di mezzanotte

-è una trina di ovatta la volta della finestra-

potevo guardare  parasoli aperti sul mio capo

morbido e sfumato quale non ricordo di aver visto mai in vita mia

dal vano della casa sentivo quasi sulla testa sgocciolare rugiada

alle foglie mi chiamava e figlia alla vita io nascevo.