Romina Dughero
Petalo sfiorato
accade una volta:
silenzio che è
.
un canto di acque
dentro la bocca segreta
ventaglio di fiore
.
germogli i capelli
rami aperti a corolla
le mani scritture e genesi
Benjamin Lacombe
Non volevo un amore
Mi bastava il suo contorno…
visibile
alla luce della luna
Inesistente il giorno
Un amore da sfiorare
in certi momenti di abbandono
Un profilo su cui passare con il dito
Un’illusione
che prendesse vita con il vento
alla luce della luna
per un momento
Un amore senza nome
Vuoto da nuotarci dentro
Vuoto da sognarci attorno
Mi bastava sì…
il suo contorno
traccia-parola nascosta, perduta, ricresciuta
grazie Fernanda Ferraresso
Turkmen Alkan
Ci sono cose
che diventano vita
Solo se dormo
.
E’ un problema serio, m’innamoro
di ogni persona che incontro,
m’incanto al primo filo dell’alba
e mi ferisco ad ogni parola dura.
Poi taccio, perché l’amore dissente
dal disamore, e non compete.
Mi contorce il senso di tutto questo,
lo sguardo incredulo di chi compatisce.
Ci sono i matti innamorati di tutto,
ma sono pochi.
I tre racconti che incontro in “Erano solo tre ciliegi” di Serena Castro Stera sono passi ritrovati in un territorio e dialogo che s’apre e induce a parlare.
Pagine attraversate dal vento freschissimo e impetuoso e veloce delle parole, agili capriole di fatti,volti,voci, memorie e ombre.
Uno sguardo onnicomprensivo sul mondo unito ad esprimere il proprio rapporto con la natura in termini di prossimità connotano le tre storie che si porgono come atto di restituzione all’altro (il lettore) di un’esperienza ricevuta.
Se vi è un filo sotteso agli scenari narrati potrei trovarlo nel tempo poiché qui esso diventa materia.
Vi è un tempo che si tocca, si sente, si vive come proprio, si reinscrive incarnato e questo lo osserviamo in Jamila, poi vi è un tempo che scivola estraneo, una superficie-oggetto che produce, nel suo trascorrere, dolore e lo ritroviamo in Ursic, l’altra protagonista femminile del primo racconto.
Al tempo così diversamente atteggiato corrispondono i sentimenti e l’atto relazionale che connota le diverse figure. Jamila ama la vita, quella che porta in grembo e la sua, tanto da unirla alla sorte di “tre bellissimi ciliegi centenari”.
In lei è il sogno e la sua felicità potrà compiersi solo nel rispetto di quel filo che la lega, intimamente, alla dignità della natura. Abbattere quegli alberi vuol dire sacrificare tre vite.
‘…
Quella mattina si svegliò decisa a provarci. Cucinò una focaccia
al curry da portare in dono e l’avvolse in un panno umido per tenerla
fragrante. Si spazzolò a lungo i capelli neri riflettendo sulle
parole che avrebbe usato nel perorare la causa rendendosi conto
che, a orecchie dure, la questione poteva sembrare inconsistente
seppure per lei le ragioni erano tutte evidenti nella forma di tre
bellissimi ciliegi centenari.
Tre vite, mille piccole vite, linfa di tronco, gemme e poi foglie e
frutti e noccioli sputati e insetti e vermicelli grassi di frutta e uccelli,
nidi, cornacchie, riposo di migratori in transito e un giorno
quel suo prossimo figlio che si arrampicava.
Prese l’automobile e andò.
…’
Diverse sono le ragioni di Ursic, custode di ricordi legati alle tragiche vicende che hanno segnato quelle terre.
‘…
Una volta i vecchi
li rispettavano. Il loro ‘no’, era no e basta. Lei non ha rispetto della
mia vecchiaia, della mia memoria. Potrei avere una ragione ben più
valida delle sue debolezze da donna incinta”. Stette un po’ in silenzio,
come raccogliendo le idee, appoggiando le mani asciutte
allo schienale della sedia di fronte alla sua.
“Viene qui con il suo pancione e le sue focacce a tentare d’intenerirmi!
Qui il cuore non c’entra. Sono le ragioni della mia memoria
di fronte alle ragioni dei suoi sogni”. La voce rotolava ruvida
come i sassi di un ghiaione.
“In quel pezzo di terra potrebbe esserci seppellito il mio cane,
potrebbe essere stato versato sangue in guerra. Ho le mie ragioni
e a lei deve bastare. Deve fidarsi di me, deve rispettarmi. Il mio
mondo vale meno del suo sogno? Ora vada, ho da fare”, disse. Ed
incurante di vento e foglie che entrarono in un sabba gelido, le
tenne perentoriamente aperta la porta.
…’
Alla fine gli alberi saranno abbattuti poiché l’esigenza di una casa per Jamila impone il sacrificio della loro tenerezza.
Negli altri racconti l’albero e il rapporto con il giardino-terra alludono all’atto dello scrivere, momento poetico e tenerissimo, che diventa giardino in cui stare, da coltivare anche in silenzio, con voce propria, ogni giorno, per far affiorare e fiorire la bellezza di trovarsi nel mondo.
Riecheggiano in me alcuni versi, sono di Marcos Ana, li lego a questo foglio e attimo di voce.
“La mia casa e il mio
cuore
mai chiusi che passino
gli uccelli, gli amici,
e il sole e l’aria”
Sia buono il tempo di ogni nostra lettura poiché dalle parole e dai colori che esse portano quotidianamente traiamo sostanza e terra.