Illustrazione di Mariella Cusumano
Nel silenzio
nel suo ventre abitato
l’eco di una parola
allaccia una stella
stella filante il mio corpo
la porta in terra
ne fa una conchiglia
di mare la mia voce
colora gli occhi
Immagine di Monica Barengo
Arriva a casa un piccolo scrigno di bellezze.
Parlo della nuova pubblicazione di Motta Junior “Nel prato azzurro del cielo”, una raccolta di poesie di Antonia Pozzi, illustrate magicamente da Gioia Marchegiani.
Splendida la copertina, annuncia il tema del silenzio in tutto il suo splendore cromatico.
Tema ricorrente è la natura, una natura che è e si ricrea attraverso i versi, le sillabe, i suoni, le scene, le manifestazioni tutte della vita.
Sono poesie pure, invitano all’ascolto, si rivolgono ai bambini, sono “poesie per bambini”, come leggo in “Canzonetta”.
Leggendo e, ancora prima, sfogliando il libro annuso la carta e il suo odore mi porta indietro, nel tempo della mia infanzia, quando tra le mani stringevo i piccoli (e pochi) doni di carta, da guardare, da leggere piano.
La poesia, allora, non era compresa tra questi regali. Soltanto da grande ho imparato a goderne, a gioirne, a cercarla.
Pensare di porgerla a piccoli lettori e ai loro genitori mi entusiasma e comprendo, nel mio piccolo, la gioia che ha provato l’autrice delle illustrazioni nel dare forma e colore all’esperienza di luce e di amore che ritrovo intatta in ogni parola, anche la più semplice, adoperata in questo viaggio, tra ombre e luci e rupi e cielo.
Ogni pagina è abitata e genera attesa.
Attesa di guardare oltre, di osservare il fiato dell’erba, il colore di un fiore che si scioglie sotto il bianco.
I miei occhi incontrano la bambina di ieri e immaginano nuovi occhi, occhi di bambini, che sapranno accendere i propri sogni, e con stupore disegnare i loro giochi e il loro tempo.
Nel prato azzurro del cielo fa parte della collana Il suono della conchiglia, collana curata da Teresa Porcella e raccoglie libri di poesie “che suonano come conchiglie portate all’orecchio, capaci di risvegliare memorie di antico e di nuovo senza sapere il perché…”.
Imparare
A distribuire
fitte
coltri
specchi
Bordi
ghiaccio
Pena
disaccordi
Per rientrare in me
Imparare a sterminare
Legami
Rotte
Livori
Vite precedenti
Per ritrovare me
Imparare una parola nuova
Che s’adatti
Si sciolga
S’imponga
Soddisfi
Ritempri
Me nuda di nuovo
Contare le sillabe dal di dentro
Colorarle mediamente in bleu
Riscriverle in un indaco pressante
Farle fiorire pensandole
E increspare l’età più ingrata
Per donarla al tempo
Come se non esistesse altro tempo
Mi si stancano le membra
Fragili stentano
A ripartire nel suono
Nel significato
Senso prediletto o odiato
Detestato del non detto
Del detto troppo
Dell’inettitudine spinta
Dove i giorni sfilano
Affaticati per dire
Gridare che un fuoco
Brucia violento
Ogni volta che passi di qui
E vai, sui miei occhi
A imbianchire lacrime
Inforcare pietre cave
Che mi entrano nel corpo
E vorrei non pensare
Che se t’ho voluto
Ora non c’è più sorriso
Non c’è più suono né abbraccio
Dentro il fiato rema contro
Soffoca la natura lieve di com’eravamo
Per dire che sei stato e non sei più
Né sono io ormai neppure
Un segno
Un punto di sospensione
.
Foto Romina Dughero
Nota: la poesia è tratta da Traducendo Einsamkeit, Terra d’Ulivi 2014